Chavutti Thirummal o La danza di Kālī Abstract

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Chavutti Thirummal o La danza di Kālī Abstract

La danza di Kālī
Massaggio Keralese o Chavutti Thirummal

Ermanno Visintainer

Un’analisi del Massaggio Keralese, o Chavutti Thirummal. Una tecnica di matrice ayurvedica eseguita interamente con i piedi, che evoca uno dei motivi centrali dell’arte indiana: Kālī che danza o incede sul corpo di Śiva. Non si tratta di un manuale, ma un’accurata interpretazione – esito di un’esperienza pluridecennale di pratica e d’insegnamento – che indaga anche i simbolismi connessi. Il testo è integrato da un dovizioso repertorio iconografico che provocatoriamente stride con la laconica aniconicità della sua copertina.

112 pp., 15 x 22, 2017, € 18.00 La Finestra Editrice

Alcuni si chiederanno il motivo di un accostamento apparentemente così estemporaneo del Massaggio Keralese, o Chavutti Thirummal, con la divinità Kālī.

Una risposta potrebbe essere quella di asserire la fondatezza di ovvie ragioni in virtù di un’iconografia tanto icastica, incisiva. Ovvero, che dal raffronto delle movenze del massaggio in questione con la rappresentazione figurata di uno dei motivi centrali dell’arte indiana: Kālī che danza o incede sul corpo di Śivane scaturisce un accostamento spontaneo ed istintivo.

Un altro valido motivo è che il libro in questione, lungi dall’essere un mero quanto pedissequo manuale, un vademecum da cui attingere una serie di fotogrammi in sequenza conditi con due informazioni storiche e due righe d’istruzioni per l’uso, si propone piuttosto di rappresentare una riflessione maturata, attraverso un’esperienza pluridecennale, di pratica e d’insegnamento sul massaggio in questione, amalgamata con degli elementi iconografici.

L’immagine di Kālī, figurativamente, nei suoi tratti essenziali è accostabile a quella dello Śiva Naṭarāja o Śiva danzante sul corpo del nano Apasmāra. Peraltro, tale iconografia non si reitera solamente nel pantheon tibetano con le sue innumerevoli Dākini, Vajrayoginī ed Heruka, quasi tutti raffigurati danzanti su figure umane. Anche in occidente non mancano dei parallelismi.

Il Massaggio Keralese, Kalari[1] o Chavutti Thirummal (Cavuṭṭi Tirum’mal) che lo si voglia chiamare è una tecnica di matrice ayurvedica che viene eseguita interamente con i piedi.

Le sue origini sono ascrivibili all’India meridionale, nella fattispecie al Kerala e all’arte marziale conosciuta come Kalaripayattu o kaḷari payatt, in lingua malayalam, e citata nella Letteratura dravidica Sangam[2].

L’ultima ragione di tale accostamento è autobiografica e risiede nel fatto che, trovandomi qualche anno fa in Thailandia, nella città di Chiang Mai, a condurre un corso di Massaggio Keralese, un giorno, stavo passeggiando fra le bancarelle dell’affollato e variopinto mercato di Warorot, intriso degli odori delle spezie, della frutta esotica e degli incensi. E mentre precorrevo un corridoio che costeggiava una bancarella di articoli religiosi, all’improvviso fui attratto da un’immagine che istintivamente mi evocava, in tutta la sua potenza, le movenze del corso che stavo dirigendo: una statuetta bronzea di Kālī che danza o incede sul corpo di Śiva.

  

Fu come un fulmine a ciel sereno, una sorta d’intuizione immediata dell’identità, della consustanzialità delle due cose.

Così acquistai la statuetta e la posi sul comodino della stanza dell’albergo dove alloggiavo. In modo che quanto più la osservavo tanto più quest’accostamento, quell’associazione abbacinava i miei occhi. Pensavo dentro di me: “Ecco un’immagine che, nella sua essenza, mi comunica il significato recondito e spirituale del Massaggio Keralese”, un po’ come le immagini del Buddha per quanto riguarda la meditazione.

Perciò iniziai ad utilizzarla per i dépliant pubblicitari dei corsi che conducevo.

Fin dall’inizio mi accorsi che, in effetti, quest’immagine si prestava perfettamente ad esprimere nonché rappresentare sinotticamente non solo i movimenti del Massaggio Keralese, bensì anche le dinamiche psicologiche, sia individuali che di gruppo, che esso suscitava. Giacché il suo significato profondo, data la sua natura, non è scevro da elementi tantrici.

Tali elementi, invero, traspaiono in primis dall’analisi etimologica stessa del termine “massaggio”, che sembrerebbe derivare dalla voce araba, مَسّ  massa, toccare, sfregare, manipolare. Verosimilmente un prestito lessicale appreso durante la campagna napoleonica in Egitto[3] .

La radice in realtà è presente anche nella lingua ebraica, con l’omologo, l’equivalente מישש  mišeš[4].

Peraltro esiste un’altra radice araba, masaḥa  مَسَحَ[5], etimologicamente connessa al verbo ebraico מָשַׁח  mašah[6], avente il significato di “ungere”, da cui nientedimeno che Messia, “l’Unto”, מָשִׁיחַ  Mašíaḥ[7], acquisendo un significato soteriologico, cioè inerente alla salvezza eterna. Una radice che, peraltro, conferirebbe una funzione all’impiego degli olii.

In Cina uno dei termini per designare il massaggio è 按摩  Ànmó, altresì più noto in Giappone come Amma  按摩che i cultori dello Shiatsu ritengono essere un prototipo dello stesso[8].

In Ànmóàn” significa pressione lenta e “” frizione circolare, superficiale. Come verbo significa: sfiorare, frizionare con movimento circolare, ed anche strofinare con delicatezza[9].

Tuttavia l’etimologia della parola in questione, data l’evidente complessità di tali grafie, offre un valore aggiunto alla nostra argomentazione. Nella parte superiore del carattere  mó di Ànmó ravvisiamo innanzitutto   má, “canapa o cannabis”.

La cannabis costituiva un elemento molto importante nell’antica arte medica cinese. Si riteneva che stimolasse il movimento del  – equivalente al prānadegli indiani, l’energia vitale e cosmica ma anche respiro e spirito – prima dei trattamenti agopunturistici. Tuttavia il carattere possedeva anche altre accezioni[10].

  má era talvolta utilizzato per formare il radicale di ideogrammi che si riferivano ad entità demoniache, come ad esempio: 魔  , demone e anche mago, stregone. Mentre in combinazione con altri ideogrammi diventava: narcotico, 麻醉 – mázuì < cannabis + zuì, ebbrezza. 麻痹  mábì < cannabis + paralisi. Infatti uno dei significati del campo semantico di   máè anestetico. Evidentemente uno degli effetti prodotti dal massaggio: un benefico effetto calmante, anestetizzante, rilassante che favorisce la circolazione del [11].

Nella parte inferiore di   mó, s’evidenzia il carattere della mano,   shǒu. Non significa niente di più che “tocco, frizione”. La mano è comunque sempre presente trattandosi di massaggio.

Venendo invece dunque al senso di   àn, tale ideogramma, infatti, sembrerebbe porre il massaggio in relazione con il simbolismo da noi estrapolato ed attribuito a Kālī in relazione a Śiva, inerente alla sublimazione della vertigine provocata dal magnetismo scaturente dall’interazione delle opposte polarità.

Quell’  àn significante “pressione lenta”, omofono, cioè avente lo stesso suono e anche in parte omografo, scritto nello stesso modo, per quanto riguarda il radicale posto a destra, benché non omotonale, cioè con lo stesso tono rispetto all’altro  ān, significante pace, armonia nell’accezione confuciana del termine. Il radicale a sinistra, da parte sua, riprende l’ideogramma della mano stilizzato, <A  destra invece, ravvisiamo l’ideogramma   nǚ, donna, che si trova sotto un tetto col fumaiolo 宀,a rappresentare la casa: 安  ān,l’ideogrammadi pace, armonia[12]. In sostanza avremo 手,  mano + , donna 宀, fumaiolo.

Un massaggio deve necessariamente essere armonico.

Tutto questo per dire che da una comparazione sinottica dei radicali appartenenti agli ideogrammi che compongono il termine cinese, ànmó  按摩si evince l’idea che il massaggio debba essere effettuato da una donna, ovvero piùprecisamente, essendo il tutto contestualizzato in una società tradizionale e confuciana, quindi parafrasando in termini moderni ovvero politically correct, da qualcuno di polarità opposta.

D’altra parte è noto che il massaggio è efficace nella misura in cui viene a crearsi un differenziale energetico fra operatore e ricevente. Maggiore è questo differenziale magnetico, maggiore sarà l’effetto e tale differenziale aumenterà in relazione alla polarità.

L’approccio con il Massaggio Keralese, non tanto dal punto di vista edulcorato e distaccato dell’utente occasionale, frequentatore di centri wellness cui si avvicina fortuitamente per curiosità, quanto piuttosto da quello di chi vi si appropinqua per scopi formativi o sempre dell’utente risoluto a riceverlo in tutta la sua dimensione trasfiguratrice e trasmutatrice, costituisce un’esperienza piuttosto estrema e totalizzante. Questo per varie ragioni:

In primo luogo, dal punto di vista dell’operatore, essendo un massaggio eseguito interamente con i piedi, richiede un equilibrio, una centratura, una maestria motoria tali, da essere immediatamente accessibile solo a chi possiede un background preliminare di arti marziali, Taijiquan, danza o attività simili. Nella sua esecuzione, l’operatore centrato sul suo asse si muove sinuosamente con l’intero corpo, imprimendo al lavoro una caratteristica spiraleggiante che genera gorghi e vortici energetici. Pur essendo un massaggio di tipo ayurvedico, di strusciamento e spremitura attraverso l’utilizzo di olii, il Massaggio Keralesepossiede altresì dei movimenti riproducenti spirali logaritmiche, elissi e lemniscate. Queste ultime, le curve algebriche a forma di otto. Il piede, peraltro, possiede una propria sensibilità alla pari della mano. Ovviamente una sensibilità diversa, non analitica, bensì sintetica, intuitiva.

In secondo luogo, dal punto di vista del ricevente, si effettua sul corpo svestito con olii freddi o caldi a seconda della stagione.

Ciò significa che lungi dall’essere, quella del massaggio in questione, una tecnica o una metodologia didattica dai risvolti pruriginosi, l’aspetto della nudità sovente costituisce un nodo cruciale, un gorgo turbinoso preliminare talvolta insormontabile rispetto alla sua ricezione. Ed a tal proposito, a scanso di equivoci, un raro, se non unico libro esistente sull’argomento, One Rope, TwoFeet & Healing Oils: Chavutti Thirummal, The Ancient Art of Keralite Massage di Prabhat Menon e Asokananda, precisa categoricamente che “il ChavuttiThirummal  o Massaggio Keralese è effettuato sul corpo nudo. Aggiungendo solo che per ragioni culturali o personali si può coprire le pudenda con un asciugamano”[13].

Il Massaggio Keralese è un massaggio totalizzante. Non è possibile eseguirlo in maniera segmentaria, topicalizzata, ovvero anticipandone parti o sezioni, esso agisce sui grandi circuiti fisiologici: circolazione sanguigna, linfatica ed endocrina.

Esso, oltre ad essere una tecnica di trattamento energetico come si direbbe, ovvero una tecnica che lavora sui piani sottili, metasomatici, cioè non materiali, della compagine fisica, può altresì divenire una tecnica di autotrasformazione, di trasmutazione interiore. Questo perché il simbolismo presente nella danza di Kālīe che si attualizza, durante il massaggio, nell’interazione operatore/operatrice-ricevente nelle loro rispettive polarità, possiede una valenza assoluta e verticale, cioè al di là dello spazio e del tempo.

Iconograficamente Kālī è rappresentata dominante, mentre danza sul corpo di Śiva, in posizione supina, passiva, diremmo ricettiva. Talvolta cadaverico o śavaŚiva ad indicare la sua impotenza in mancanza della consorte[14]. Come chi riceve un massaggio. Inoltre, proprio come da parte di chi esegue il massaggio, Kālī tiene un piede a terra e uno sul corpo del consorte divino.

Ella è altresì la Śakti di ŚivaŚaktila forza magica, la potenza, la dynamis[15]. E la danza è quella della Śakti fatta di fiamma che agisce sul corpo immobile e disteso di Śiva[16], risvegliandolo.

Il primo attributo di Kālī è l’oscurità, rappresentata dal colore della pelle. Kālī काली in devanāgarī [17], omografo e omofono, cioè scritto e pronunciato in maniera uguale, sia rispetto al colore nero, sia alla radice della parola designante il tempo kāla   काल [18], da cui la sua connessione con il Kali Yuga , l’Epoca oscura. Il nero della pelle rappresenta, fra le altre cose l’appartenenza alla via della Mano Sinistra o Vāmācāra, in contrapposizione alla via della Mano Destra, Daksinācāra, giacché quando la sinistra prende il sopravvento sulla destra si ha la liberazione[19].

Il secondo attributo riguarda la nudità. La nudità assoluta e primordiale di Kālīrappresenta l’abbacinante fuoco della verità che non può essere velato da māyā,l’illusione, il suo essere sciolta da ogni forma[20]. Non dissimile dal greco λήθεια-aletheia, “verità”: etimologicamente da alpha privativo e il verbo λανθάνω-lanthano, “nascondere, coprire”, quindi “svelamento”[21].

Una “riduzione fenomenologica”, sempre per restare in ambito filosofico occidentale, che è una denudazione dell’esperienza pura e diretta da tutte le concezioni, le speculazioni che la ricoprono e che rivela l’“essere” interiore, il “Sé” superindividuale. Una rimozione del velo che copre la realtàfenomenologica, per utilizzare una metafora attuale, mutuata dal mondo islamico ma anche cattolico.

Infatti, anche l’immagine sacra della Vergine che calpesta il serpente brandendo la croce non si discosta troppo da questo motivo. Nei suoi tratti essenziali ricorda Kālī che brandisce una spada o un tridente nell’atto dello schiacciamento. Tuttavia a differenza di Kālī la Madonna è “velata”. Ma quest’aspetto risulta essere sostanzialmente secondario rispetto all’iconografia.

  

Infatti, la Madonna è coperta con un manto blu stellato, una metafora che in India, sebbene declinata solo al maschile: digambara, “vestito di cielo”[22], possiede il significato di rivestito solamente della propria potenza, come lo sono Mahāvīra e gli asceti jainisti. Come lo sono però, talvolta in maniera estrema, anche le varie tipologie di Dākini, anch’esse danzanti, o Vajrayoginī YesheTsogyal. Entità rappresentanti l’aspetto femminile della buddhità tantrica.

      

Inoltre Kālī indossa un kapalamala o ghirlanda di crani, fatta di cinquanta teste recise[23] e una cintura di mani mozzate. Tali attributi afferiscono ad un simbolismo tantrico inquietante che evoca l’atmosfera angosciante del campo crematorio.

I teschi sono simboli multiformi del dramma cosmico nel quale è proiettata la coscienza, evocando nella letteratura tantrica sia la morte sia il risveglio.

Il teschio pertanto diviene un motivo che evoca la caducità dell’ego, quindi di dissoluzione di quell’avidyāl’ignoranza primordiale o la “Nescienza cosmica” che offusca l’autoluminosità della mente priva di oggetti[24]. Ed ancora della transitorietà di tutti i fenomeni (nāma e rūpa), delle false personalità ed identità assunte, delle miriadi di forme intraprese dall’egoismo (ahaṅkāra). In una parola della mente duale.

La cintura di arti e mani mozzate invece rappresenta la dissoluzione del karma, le azioni compiute nel mondo samsārico che vincolano al ciclo delle rinascite e conseguentemente dei kleśaovvero i veleni, le maculazioni, i difetti karmiciforme distorte dell’ego di potenze cosmiche creatrici.

Kālī quindi è raffigurata con i capelli sciolti e scompigliati a rimarcare il suo statusdi bhairavī, di sfrenatezza ma anche antinomico o di scioglimento da ogni vincolo sociale. L’idea di “distruzione” immanente in tutti questi simbolismi va concepita essenzialmente nei termini di un portarsi di là dalle forme manifestate e vincolate[25].

Un ultimo motivo interessante per il massaggio è la spada, khaḍga, che la dea brandisce con una delle quattro braccia. Universalmente un simbolo che recide le illusioni e l’ignoranza. La spada infernale, secondo Filippani Ronconi, khaṭvāṅga  खट्वाङ्ग, “la quale dopo la vittoria sui demoni, chiamati Cuṇda e Muṇda, prende il nome di ṃuṇḍā[26].

  

Questa spada rituale, o clava, ornata con teschi, crani e talvolta vajra, può essere in osso umano, legno o metallo. Essa abbate il velame che deriva dal karma, perché la sua natura è consustanziata con il pensiero dell’illuminazione[27].

Per facilitare l’esecuzione del massaggio, generalmente, si utilizza una o piùcorde. La corda diviene un attributo pressoché imprescindibile dell’operatore, cosìcome il futon per l’operatore Shiatsu o il praticante di Nuad Thai.

Di certo essa rappresenta un elemento tanto essenziale quanto propedeutico per chi intenda perfezionarsi attraverso il Massaggio Keralese.

Tuttavia, volendo riferirvisi in maniera totalizzante e portando alle estreme conseguenze quanto detto fin qui, se osserviamo con distacco la seguente immagine di un operatore che esegue un trattamento, all’occhio di chi è avvezzo a questo tipo di massaggi, non potrà sfuggire la sua posizione eccessivamente allungata.

Sbilanciata, con il busto proteso verso destra e con la gamba sinistra in stretching dalla parte opposta. Per non parlare dell’utilizzo delle corde che in realtà spezza la “presenza” dell’operatore, creandogli una sincope, una frattura, una discontinuità fra la parte superiore e quella inferiore del proprio corpo. Privando il trattamento da quella componente olistica, totalizzante, conglobante, per usare un termine caro alla new age. Peraltro, a scanso di equivoci, sempre nel libro di Asokananda è scritto: “benché la corda sostenga gran parte del peso del massaggiatore, bisogna ricordarsi che essa è soltanto uno strumento per il mantenimento dell’equilibrio”[28].

Né Kālī né lo Śiva Naṭarāja, del resto, possiedono corde o sostegni per compiere la loro danza, rappresentando un vincolo alla libertà espressa dalla danza stessa[29]; e, mentre il Naṭarāja volteggia con le mani libere, Kālī brandisce una spada. E proprio la spada è quell’attributo con cui, al posto della corda, potremmo anche eseguire il massaggio.

Una via per conseguire tale abilità, a nostro avviso, beninteso non l’unica, è il Taijiquan con le sue movenze. Se effettuato secondo un certo regime di consapevolezza, può determinare delle increspature nelle rete spazio-temporale che costituisce l’involucro, il recinto, entro il quale è confinata la nostra coscienza dualistica del mondo.

Vale a dire conseguire, fra le altre cose, un’estasi a, che, come scrive MirceaEliade, può essere considerata quel tentativo di “abolire la storia” e di “uscire dal tempo” per “recuperare la libertà e la beatitudine dei tempi primordiali, una ritualizzazione di quell’illud tempus mitico nel quale gli uomini potevano ascendere concretamente fino al Cielo ed intrattenersi con gli déi”[30].

Realizzare l’ucronia, l’utopia, termini che significano il non-tempo e il non-spazio. Il senza-luogo dei versi di Jalāl ad-Dīn Rūmī, il Nā-Kojā-Abād, letteralmente il “luogo che non c’è:

 Io non sono di questo mondo né dell’altro,

non del Paradiso né dellInferno.

Il mio luogo è il senza-luogo,

il mio contrassegno è lesserne privo.

Ritornando alle finalità del libro, i manuali di massaggio hanno certamente rappresentato delle pietre miliari nella diffusione di quest’arte a partire dagli anni ’70 fino a tempi recenti. Tuttavia v’è da dire che rispetto a quella generazione post-sessantottina alla ricerca, nelle discipline alternative e nella spiritualità di un’opzione alle ideologie, oggi il panorama è mutato. Più pragmatico da una parte e più commerciale dall’altra. Il testo si propone lo scopo di rappresentare una riflessione maturata, attraverso un’esperienza pluridecennale, di pratica e d’insegnamento sul massaggio in questione, amalgamata con degli elementi iconografici.

Consapevoli da una parte, del fatto che qualche passaggio del libro risulti complesso o astruso, dall’altra è intuibile che discorrendo di simbolismo e iconografia non ci si possa esimere dal fare ricorso ad una certa terminologia.

La parte inerente alla tecnica è spiegata in maniera esaustiva. Ovviamente come per qualsivoglia corso impostato sul principio del movimento è indispensabile altresì un approccio pratico, operativo.

Quanto alla parte introduttiva di carattere speculativo e filosofico, essa rappresenta una giustapposizione che forse non è immediatamente accessibile a chiunque. Un approccio tipicamente occidentale che stride ad esempio con quello tradizionale prettamente pragmatico, che non intendiamo assolutamente porre in discussione.

V’è, malgrado ciò, da dire che l’esperienza fatta in Thailandia ed altrove in oriente ci induce anche a considerare il fatto che gli occidentali non possano fare a meno di utilizzare parallelamente questo tipo di linguaggio in quanto, con tutta la sua limitatezza, rappresenta una condizione imprescindibile.

Pur nella consapevolezza che l’utilizzo di un linguaggio logico-discorsivo, come quello di un libro, rappresenti un limite a causa della sua intrinseca tendenza a intellettualizzare eccessivamente l’argomento trattato, riteniamo che con i dovuti accorgimenti costituisca altresì l’approccio più breve.

Gli accorgimenti cui ci riferiamo sono tutti quei complessi e motivi simbolici descritti nel libro. In quanto il simbolo non comunica alla mente bensì direttamente al cuore. A qualcuno potranno sembrare esotici, enigmatici, tuttavia al di là dei dogmatismi, la loro essenza – come ci sembra di aver ampliamente dimostrato – è universale.

Lo sforzo verso la loro comprensione, quindi, potrebbe costituire una sorta di via breve, o forse, per meglio dire, un approccio esemplificato ed adatto a quel lettore che utilizza gli strumenti conoscitivi propri alla civiltà occidentale. Strumenti che non sostituiscono certamente l’addestramento tradizionale con un maestro, ma che, tuttavia, senza entrare in diatribe che negano tale approccio all’uomo moderno occidentale, possono creare un ausilio preliminare.

La Danza di Kālī

Il massaggio Keralese

Ermanno Visintainer

112 pp., 15 x 22, 2017, € 18.00 La Finestra Editrice

email: erenvis@yahoo.it – tel: +39 340 7667936

[1] Esiste invero una tecnica avventizia apparentemente simile, l’AshiatsuViene praticato su un lettino appesi ad un baldacchino dotato di parallele. L’origine è però avvolta nel mistero, ignota una bibliografia. Non assomiglia al Kiatsu Do, lo Shiatsu a piedi nudi di Shizuko Yamamoto, una tecnica che nell’omonimo libro è presentata come Barefoot Shiatsu nientemeno che da Michio Kushi, uno dei padri della Macrobiotica. Shizuko Yamamoto, Kiatsu Do, Lo shiatsu a piedi nudi, Roma 1986.

[2] Tamil Nadu Textbook and Education Service Corporation, History, Sangam Age, Chennai 2015, pp. 85- 93.

[3] Arabic-english Dictionary, Beirut 1989. p. 994.

[4] http://www.morfix.co.il/en/מישש.

[5] http://en.bab.la/dictionary/arabic-english/مسح.

[6] http://www.morfix.co.il/en/מָשַׁח.

[7] http://www.morfix.co.il/en/מָש%D6%B4ׁיחַ.

[8] Shizuto Masunaga, Zen shiatsu La terapia shiatsu secondo i principi dello zen, Roma 1986, p. 11.

[9] Per gentile contributo del Prof. Silvio Calzolari, Orientalista, ISSR (Istituto Superiore di Scienze Religiose) Firenze.

[10] Per gentile contributo del Prof. Silvio Calzolari, Orientalista, ISSR (Istituto Superiore di Scienze Religiose) Firenze.

[11] Per gentile contributo del Prof. Silvio Calzolari, Orientalista, ISSR (Istituto Superiore di Scienze Religiose) Firenze.

[12] Accezione confuciana del termine significa che pace e tranquillità ci sono solo se la donna si accontenta di rimanere a casa, perciò il carattere – ān significa pace. Yuan Huaqing, La Scrittura cinese, Milano 1998, p. 3.

[13] Prabhat Menon and Asokananda. One Rope, Two Feet & Healing Oils: Chavutti Thirummal, The Ancient Art of Keralite Massage, p.15.

[14] Pio Filippani Ronconi, L’Induismo, Milano, 1994, p. 75.

[15] Giuseppe Tucci, Teoria e pratica del Mandala, 1969 Roma, p. 27.

[16] Julius Evola, Lo Yoga della potenza, Roma 1968, p. 38.

[17] Alfabeto in uso in India in cui è scritto il sanscrito.

[18] Vallardi, Dizionario Sanscrito-italiano Italiano-sanscrito, 1993.

[19] Julius Evola, Lo Yoga della potenza, Roma 1968, p. 45.

[20] Julius Evola, Lo Yoga della potenza, Roma 1968, p. 45.

[21] Lorenzo Rocci, Vocabolario di Greco, Società editrice Dante Alighieri, 1976.

[22] Gérard Huet, lexique sanskrit-français à l’usage de glossaire indianiste, 2002, p.127.

[23] Julius Evola, Lo Yoga della potenza, Roma 1968, p. 45.

[24] Pio Filippani-Ronconi Il Buddhismo, Roma, 1994, pp. 15 e 48.

[25] Julius Evola, Lo Yoga della potenza, Roma 1968, p. 47.

[26] Pio Filippani-Ronconi, lInduismo, Roma, 1994, p. 74.

[27] Giuseppe Tucci, Teoria e pratica del Mandala, 1969 Roma, p. 83, nota 2 e p.87.

[28] Prabhat Menon and Asokananda. One Rope, Two Feet & Healing Oils: Chavutti Thirummal, The Ancient Art of Keralite Massage, p. 16.

[29] Julius Evola, Lo Yoga della potenza, Roma 1968, p. 36.

[30] Mircea Eliade, Lo Yoga, Milano 1995, p.316.

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