Il Buddhismo nella letteratura turca

di Ermanno Visintainer

dunb220.jpg (12696 bytes)La produzione letteraria turca è vastissima. L’aspetto principale per cui essa si distingue da altre letterature vicine o lontane[1] è di certo costituito dall’assoluta eterogeneità degli scritti, la quale si spinge ben molto di là da quanto, qualsivoglia profano sull’argomento possa immaginare. Essa, in sostanza, include tutte le civiltà e di conseguenza le religioni universali, nonché parte di quelle ancestrali diffuse sul continente eurasiatico[2].

Nondimeno i sistemi grafici che, nel corso dei secoli, sono stati impiegati per trascrivere questa lingua, superano di gran lunga quelli in uso presso le rimanenti favelle. Si può, altresì, affermare che da questo punto di vista la letteratura turca è unica al mondo. Un pregiudizio diffuso del nostro tempo, tuttavia, è quello che identifica tassativamente l’Islam con la turcità, avviluppando ed imprigionando quest’ultima in una sorta di camicia di forza, che le impedisce qualsiasi possibilità di svincolo o di risonanza. Sebbene tale preconcetto, dal punto di vista della nostra prospettiva storiografica europea possa anche trovare delle giustificazioni, ovverosia pur non sconfessando l’influenza preponderante esercitata dalla menzionata religione sul passato del mondo turco ed europeo, esso non dissimula, di per sè, una propensione all’apriorismo.

Shah JahanRiguardo ai turchi, al massimo, la comune conoscenza storica non spazia oltre a qualche reminiscenza scolastica sull’Impero Ottomano e ovviamente sulla battaglia di Lepanto, ma quanti sanno che l’arte delle steppe l’hanno propagata loro fino alle rive dello Jenisei siberiano, che l’arte sino-buddhista della dinastia turco-cinese -Wei o Tabgač e che la pittura centro-asiatica di Qïzïl, giunsero fino in Giappone esercitando una profonda influenza. Si richiama alla mente che il Tāj Mahal di Agra fu costruito dall’imperatore Moghul, Shāh Jahān, nelle cui vene scorreva sangue turco, e non andiamo oltre negli esempi, peraltro già propostici dallo studioso J.P.Roux, che sarebbero innumerevoli.

Di certo, sempre ribadendo le parole dello stesso autore:        
 con i turchi abbracciamo la storia universale (…) ma dell’importanza che essi hanno avuto non sappiamo nulla[3].

I turchi, al contrario di altri popoli anatolici caratterizzatisi per un certo monoideismo confessionale, prima d’aver trovato nell’Islam la loro via in apparenza definitiva, hanno via via abbracciato tutte le religioni del mondo.

Da un’analisi storica non troppo superficiale, infatti, si potrà facilmente evincere che essi si sono sempre contraddistinti per il sincretismo religioso e per l’esogamia. Invero, le etnie turche maggiormente legate a questo credo, non lo sono da più di mille anni a questa parte, mentre altre, a fasi alterne, sono rimaste fedeli alle antiche religioni, come lo Sciamanesimo e il Buddhismo. Peraltro ricordo che ci sono state ed esistono ancora comunità cristiane fra essi, come i Nestoriani dell’Asia centrale in epoca pregengiskhanide, i Gagauzi di Moldavia o i Čuvassi dell’attuale omonima repubblica, oppure ebraiche, come i Khàzari e i Karaiti in passato.

Andando più a ritroso, i succitati Tabγač o 拓跋-T’o Pa in cinese, furono invece una tribù turca originaria del lago Bajkal che, nel 422, conquistò 洛陽-Luoyang, l’antica capitale, assurgendo al rango di veri e propri imperatori cinesi con il nome dinastico di -Wei, abbracciarono il buddhismo di cui divennero i propagandisti e divulgatori nel Celeste Impero. Si può pertanto asserire che nella misura in cui i turchi hanno portato l’Islam alle porte dell’Europa, parimenti essi hanno veicolato il Buddhismo nel cuore della Cina. Essi furono peraltro latori, con l’Impero Khàzaro, dell’Ebraismo nella regione caspica o dello Sciismo in Iran con Šah Ismail.

Il sovrano Bumin Qāghān, nel 552, fu un precursore di questa dottrina che trovò mecenati e mentori presso i turchi, i quali permisero ai buddhisti, momentaneamente perseguitati dai Cinesi, di rifugiarsi presso di loro, così come in un altro contesto storico gli Ebrei, per sfuggire ai pogrom bizantini, troveranno asilo presso i Khàzari (altra etnia della grande famiglia turca). Un altro sovrano, Bilgä Qāghān, nell’VIII secolo, espresse ancora una forte propensione per la religione indiana, sognando di far erigere un monastero nella sua città. Per inciso di turchi buddhisti ne sono rimasti fino al giorno d’oggi, come i Tuvini, gli Khakassi ed altri, stanziati nell’area mongolo-siberiana.

Una menzione spetta alla biografia del famoso pellegrino buddhista cinese Hsüen-tsang che visitò questi luoghi verso il VII secolo, così come all’altro viaggiatore cinese Wang Yen-te, il quale, nel 981, soggiornando nella capitale degli Uiguri, vi contò fino a cinquanta templi.

Parallelamente si sviluppò una vasta letteratura buddhista. Fra le varie opere appartenenti a tale letteratura menzioneremo il “Loto della buona legge”, tradotto in turco, fra il 383 e il 417, da Kumārajīva. Mentre un altro testo importante è il sutra intitolato “Aureo splendore o Altun yaruq”, opera di Sïnqu Säli di Bešbalïq.

Lo svedese, Sven Hedin, fu il primo occidentale a dissotterrare le rovine delle antiche città buddhiste nell'Asia Centrale cinese.

Nel 1899 scoprì l'antico presidio cinese di Loulan nel deserto di Taklamakan. I numerosi manoscritti dissotterrati in quel luogo provano l'enorme importanza storica del ritrovamento. Tuttavia l’esploratore più prolifico fu l’ungherese, Marc Aurel Stein, il quale in seguito scoprì le "Cave dei Mille Buddha," vicino a Dunhuang.                   
Quivi ebbe modo di rinvenire il “Sutra del Diamante (Vajracchedika-prajñāpāramitā-sūtra)”, testo essenziale della letteratura buddhista, assieme a 40,000 altre pergamene.

A questo punto intendiamo offrire il saggio di un breve componimento tratto dal testo del prof. R.R.Arat[4], proveniente da un manoscritto turco-uiguro buddhista depositato presso il British Museum e da noi tradotto:

 

 

Alqu qamaγ üč ödki burqan-lar-qa.

A tutti i Buddha di ciascun dei tre eoni

Arïš arïγ nïrvan töz-lüg ïduq nom-qa.

Alla sacra legge insita nel puro immacolato nirvana

Ayaγuluγ ary-a sangga quvraγ-lar-qa.

Alle comunità āryasanga degne di venerazione

Ayap külep alqu ödte ïnanurmen.

Con rispetto in eterno volgo la mia fede.

 

 

Burqan-lar-nïng uluš-ï-nïng pramanu-sï.

Per quanto un frammento della terra dei Buddha

Bolsar neče anča san-lïγ uluš sazu.

Tanto sia in ogni contrada fecondo

Bod-lar öz-e alqu ödte burqan-larqa.

Assieme ai corpi e in ogni tempo ai Buddha

Bulïd-layu tapïγ öz-e tapïnurmen.

Come nuvola asservita volgo la mia devozione.

 

 

Bašlaγ-sïz-tïn amtïqï bu ödkedegi.

Chi non è iniziatore da un tempo ad oggi

Badïl öküš et’üz til köngül-üm-tin.

Dai molti corpi esistenti, favelle e cuori.

Basa yana az övke-ler biligsiz-tin.

A causa dell’odio, la rabbia e la nescienza

Bar bolmïš-ča qïlïnč-ïmïn ökünürmen.

Per tutto ciò che abbia fatto provo rimorso.

 

 

Alqu qamaγ burqan-lar-nïng tüzün-ler-ning.

Di tutti i Buddha esistenti, delle stirpi

Atïn yime bardaγčan-nïng Yumqï-γu-nung.

E oltre a questi anche della gente comune

Aqïγ-lïγ-lï adïγ-sïz-lï alqu türlüg.

Tutti convertiti e non, di ogni sorta

Arduq edgü iš-ler-inge ögirürmen.

Mi rallegro per le loro scelte e buone azioni.

 

 

Yïlayu-lï čïnlayu-lï iki türlüg.

Assertori della verità e mendaci, due tipi

Yirtinčü-ke umuγ bolur uz oγur-luγ.

Annunzieranno al mondo buoni auspici

Yindem arïγ bodïčït tip uluγ küü-lüg.

Sempre di puro bodhičitta aventi fama

Yig üsdünki ol köngül-üg ändärnürmen.

Porto con me nell’eccelsa dimora del mio spirto.

 

 

Questo componimento, di fronte al quale possiamo riconoscere le medesime sensazioni trasmesseci dalle gigantesche statue dei Buddha di Bamiyan, in Afghanistan, prima che venissero distrutte dalla furia iconoclasta dei talebani, oltre ad fornirci una prova dell’esistenza di un messaggio diverso in cui facciamo fatica a identificare lo stereotipo turco, ci offre altresì una testimonianza, di come ancora oggi in questo paese vi sia una profonda consapevolezza, di questo importante capitolo della propria storia.

Dott. Ermanno Visintainer - Pergine Valsugana, Trento

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[1] Principalmente la persiana che è indubbiamente la principale all’interno del mondo islamico sebbene non tanto eterogenea come la turca.

[2] A dispetto di chi stigmatizza i turchi come un popolo che ha dato poco contributo intellettuale all’Islam, noi obiettiamo che il loro apporto è indiscutibile, soprattutto per quanto riguarda il sufismo ma anche per il diritto. Ricordiamo solo la figura di Ahmed Yesevi ancora venerata in tutti i paesi turchi di tradizione islamica. Puntualizziamo, tuttavia, che i turchi nella loro sconfinata produzione letteraria non solo hanno lasciato un’impronta indelebile all’interno della letteratura islamica, altresì ricordiamo che esistono testi letterari in turco riferentisi rispettivamente a religioni come lo Sciamanesimo, il Nestorianesimo, il Manicheismo, il Buddhismo, l’Ebraismo ed ovviamente l’Islam. Vd. Alessio Bombaci, La Letteratura Turca, Milano, 1969

[3] Vd. J.P.Roux, “Storia dei Turchi” pg 10.

[4] Vd. R.R. Arat, Eski Türk Şiiri, Ankara 1991.