di
Edoardo Triscoli etno-grafologo pirografista
Libraio in Trieste
Quasi tutte le maggiori scuole linguistiche del mondo sono d’accordo nel collocare la nascita della lingua parlata circa 100.000 anni fa, quando i centri del linguaggio racchiusi nel nostro cervello iniziarono la loro straordinaria storia, ancor oggi ben lontana dall’esaurire la sua spinta iniziale. Questa straordinaria “attivazione” fu probabilmente dovuta ad una esigenza sempre più sentita di avere a disposizione un linguaggio molto più efficace (ma anche più complesso) che andasse oltre ai grugniti e alla gestualità del corpo. Fu così che l’uomo uscì dall’Eden, dalla dimensione tipicamente animale del qui ed ora, incominciando a sviluppare la sua più esclusiva caratteristica: la capacità di astrazione con la conseguente produzione di simboli.
Linguaggio e magia hanno la stessa radice: la rappresentazione simbolica di un animale sulla parete di una caverna permette all’ uomo che lo disegna di possedere l’ animale stesso, che poi verrà cacciato e più facilmente ucciso.
E’ interessante notare come i primi segni tracciati dall’uomo siano simbolici e astratti anziché realistici. Sono un po’ come quegli scarabocchi che facciamo noi quando telefoniamo o parliamo tracciando automaticamente delle figure più o meno geometriche che all’occhio esperto del grafologo possono rivelare aspetti della nostra personalità (come dall’ analisi della scrittura).
Questi segni primordiali (che nessun animale per quanto intelligente potrà mai tracciare) furono accompagnati dalle cosiddette scritture mnemotecniche, cioè quell’insieme di oggetti e/o di segni che permettevano di ricordare e segnalare eventi importanti come passaggi di uomini o animali, notazioni metereologiche o di pericolo, simboli magici e protettivi. In questa fase l’ uomo usava di tutto, da graffiti sulla roccia o legno a cordicelle, sassi, nodi che diventavano così una vera e propria memoria, i nostri moderni appunti.
Ancor oggi troviamo esempi di scritture mnemotecniche, dagli zingari con i loro esclusivi segni simbolici che permettono di scambiare informazioni sui luoghi visitati o da visitare, alle guardie forestali che segnalano con tacche colorate sentieri, alberi da abbattere, pericoli e animali. Prima della scrittura vera e propria ci furono dei passaggi intermedi in cui il linguaggio scritto divenne prima pittogramma (rappresentazione dell’oggetto) e poi ideogramma (rappresentazione dell’idea); queste due forme scritturali testimoniano la complessa conquista del linguaggio simbolico da parte dell’ uomo. La scrittura fonetica, intesa come trasposizione grafica del linguaggio parlato, nasce attorno al 3.500 a.C., quindi dopo ben 100.000 anni di tradizioni orali.
Anche se oggi sembra relativamente facile imparare e usare una lingua alfabetica (ad esempio l’italiano) che con pochi segni codificati può praticamente rappresentare tutto, l’avventura delle lingue scritte rappresenta, dopo la nascita dell’agricoltura, la più grande rivoluzione del mondo antico.
Il sapere non viene più trasmesso oralmente, in maniera imprecisa e limitata, ma può venir conservato praticamente per sempre e in quantità infinite: le grandi biblioteche dell’antichità (Alessandria, Pergamo…) e le immense biblioteche moderne da milioni di volumi sono la nostra memoria (questa volta tangibile e oggettiva), ciò che siamo stati e ciò che abbiamo fatto.
La scrittura è un’ invenzione maschile perché nel passato la donna era costretta dal suo ruolo di moglie e madre a condurre una vita in cui non c’ era sicuramente posto per lo studio e la “cultura”. L’insegnamento della scrittura era fatto da uomini per altri uomini. Bisognerà aspettare l’avvento della borghesia occidentale dell’ 800 per cominciare a vedere le donne leggere e scrivere: la cultura non fu più basata sulla differenza dei sessi ma su quella delle classi sociali (i poveri continuavano a restar lontani da libri e calamai).
Fu la Rivoluzione Industriale che permise, sostituendo l’aristocratica penna d’oca con il proletario pennino d’acciaio, a fasce sociali sempre più ampie l’accesso alla “cultura”. In ogni società le produzioni artistiche e culturali si strutturano in modo funzionale alla società stessa; il primo scopo di un popolo (e del suo governo) è di conservare l’ordine sociale attraverso un modello codificato (e ideale) di comportamento e quindi di espressione.
La scrittura, registrando tutto questo, diventa obbligatoriamente uno dei mezzi più importanti (se non il più importante) per capire un popolo e la sua storia. Accanto alle grandi imprese dell’uomo (res gestae) troviamo, parallela e discreta, la sua scrittura, questa volta intesa in senso letterale cioè attraverso la sua forma grafica. Esattamente come la nostra scrittura personale ci descrive senza veli e ipocrisie, così l’espressione grafica di un popolo è direttamente proporzionale alle sue caratteristiche etniche e storiche.
La grafologia sta alla personalità del singolo come l’ etnografologia sta all’ anima di un popolo.
Così come “l’uomo scrivendo descrive se stesso” (M: Pulver) altrettanto accade per un popolo: la stessa forma delle lettere è la storia dei popoli stessi.
Le caratteristiche culturali, storiche e geografiche sono sintetizzate nel tipo di scrittura che una determinata cultura produce per conservare la sua storia. Basterebbe osservare una immaginari tavola con tutte le scritture del mondo per rendersi conto di come e quanto i vari alfabeti siano profondamente differenziati l’uno dall’altro per forma, sviluppi e organizzazione spaziale.
Si va dalla sinuosa bellezza delle calligrafie arabe alla semplice e forte funzionalità delle scritture nordeuropee, dall’ intenso e primitivo simbolismo dei grafismi africani alla raffinatezza dei geroglifici egizi, dal rigore formale delle scritture ideografiche cinesi alla ricchissima varietà estetica delle scritture dell’ India, fino alle misteriose complessità delle scritture precolombiane. E’ in questa prospettiva che si pone questo nostro viaggio tra le principali scritture del mondo attuale: un excursus inevitabilmente parziale che cercherà di cogliere “da dentro” le particolarità di un popolo analizzando le sue uniche ed irripetibili scritture. introduzione all’“etnografologia”
C’era una volta… in via Giulia 75/3 a Trieste, la libreria de “Il Giulia”
Trieste, 30 marzo 2007 |
Edoardo Triscoli è co-autore con Carlo Chinaglia dei libri:
–Graphologie, Gremese Editore, 1996
Si è dedicato anche alla narrativa pubblicando con la Mgs Press: BIBLIOPOLIS. Trieste, città dei libri perduti, Pagine di sabbia Trieste, il deserto e le biblioteche rivelate e ERESIE. Trieste, i libri e le verità nascoste